Torno a scrivere dopo alcuni mesi e provo a riallacciarmi al tema lasciato in sospeso, appunto quello degli ultimi e del che cosa significa stare da quella parte. Nel post precedente (vedi) abbiamo visto la sostanziale diversità di vedute tra Enrico Berlinguer e Piero Fassino, tra il vecchio Partito Comunista Italiano e i Democratici di Sinistra, ora PD.
Il tema dell’attenzione agli “ultimi” è centrale nella costituzione di una società che vuole dirsi giusta. L’argomento non è frutto dell’albero marxista, ma è profondamente radicato nella coltura cristiana. Gesù nel vangelo è molto chiaro sugli ultimi, affermando che essi sarebbero stati la sua presenza viva e continuativa. «Signore, quando ti abbiamo visto? … ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt. 25, 31-46). Sembra proprio che Gesù suggerisca di stare con gli ultimi (gli affamati, gli assetati, i nudi, i forestieri, i carcerati, ecc.) se si vuol essere certi di stare con lui. Ne consegue una cosa molto semplice, cioè che il cristiano è, o dovrebbe essere, colui che sta con l’ultimo, che si accompagna ad esso. Non solo, Gesù in più occasioni ha esplicitamente frequentato prostitute, esattori, lebbrosi, ecc. tutte frequentazioni che al suo tempo erano considerate riprovevoli e scandalose.
Siccome il vangelo viene letto in Chiesa tutti i giorni (quasi ognuno di noi ne possiede almeno una copia in casa; gli argomenti di catechismo sono diventati parte del bagaglio culturale di ciascuno di noi), diventa facile rimanere perplessi difronte ai comportamenti e alle affermazioni di certi prelati. Ve ne riporto due, una di un vescovo italiano, l’altra di uno austriaco.
L’italiano è vescovo emerito di Otranto, mons. Vincenzo Franco e dice: «Non darei la comunione a Vendola perché ostenta la sua condizione perversa e malata di omosessuale praticante. A questa gente come lui, un gran furbacchione che specula sulla sua presunta vicinanza alla Chiesa, i vescovi e i sacerdoti sappiano dare un bel calcio nel sedere. Se muore un gay certamente me ne dolgo e prego per lui, ma non posso celebrare una messa funebre per la semplicissima ragione che è morto senza pentimento, senza cambio di vita e da pubblico peccatore, pietra di scandalo. Il Vaticano spesso tace su questioni importanti dando un’idea di indulgenza a buon mercato (vedi anche).
Il secondo è Vescovo ausiliario di Salisburgo, Andreas Laun, che in una pubblicazione recente scrive: «La Love Parade e la partecipazione ad essa, a prescindere dalla sua immagine ripugnante, costituiscono una sorta di ribellione contro la Creazione e contro l’ordine divino, sono un peccato e un invito al peccato […] ci si rifiuta di ammettere che la Love Parade potrebbe anche avere a che fare con il peccato e, di conseguenza, anche con un Dio che giudica e punisce (vedi qui.)». A provare a cogliere quel che scrive, si direbbe che il Vescovo pensa che chi ha partecipato alla manifestazione, poi trasformatasi in tragedia, di Duisburg stesse commettendo peccato e che Dio abbia voluto punirlo spingendolo sotto il tunnel. Lo so, è aberrante!
Non provo neppure ad accennare alla questione dei preti pedofili e dell’omertà che alcuni Vescovi hanno praticato, sarebbe troppo facile, e poi non è attinente all’argomento che trattiamo, cioè gli ultimi e chi se ne fa portavoce. Mi viene da fare una battuta, che da poi il titolo a questo post: a sentire certi ecclesiastici vien proprio da pensare che Gesù abbia scelto gli ultimi, ma nel senso dei “peggiori”.
Dagli uomini di Chiesa purtroppo (1) ci aspettiamo sempre parole di misericordia, e soprattutto atti di perdono. Affido a don Milani la critica a questa spiccata voglia di dire la loro che i vescovi e i cardinali sovente manifestano. È un po’ lungo, ma ne vale la pena!
[…] Criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo loro bene. Vogliamo il loro bene, cioè che diventino migliori, più informati, più seri, più umili. Nessun vescovo può vantarsi di non aver nulla da imparare. Ne ha bisogno come tutti noi. Forse più di tutti noi per la responsabilità maggiore che porta e per l’isolamento in cui la carica stessa lo costringe. E non è superbia voler insegnare al vescovo perché cercheremo ognuno di parlargli di quelle cose di cui noi abbiamo esperienza diretta e lui nessuna. L’ultimo parroco di montagna conosce il proprio popolo, il vescovo quel popolo non lo conosce. L’ultimo garzone di pecoraio può dar notizie sulla condizione operaia rabbrividire dieci vescovi non uno. L’ultimo converso della Certosa può aver più rapporto con Dio che non il vescovo indaffaratissimo. E il vescovo, a sua volta, ha un campo dove può trattarci tutti come scolaretti. Ed è il Sacramento che porta e quelli che può dare. In questo campo non possiamo che presentarci a lui che in ginocchio. In tutti gli altri ci presenteremo in piedi. Talvolta anche seduti su cattedre più alte della sua. Quelle in cui Dio ha posto noi e non lui. L’ultimo di noi ne ha almeno una di queste cattedre e il vescovo davanti a lui come uno scolaretto. E qualche volta, credimi, c’è proprio bisogno di trattarlo così! Non è forse come un bambino un cardinale che ci propone ad esempio edificante un regime come quello spagnolo (2)? Non c’è neanche da arrabbiarsi con lui. Diciamogli piuttosto bonariamente che non esca dal suo campo specifico, che non pretenda di insegnarci cose su cui non ha nessuna competenza. Non l’ha di fatto e non l’ha di diritto. Ne riparli quando avrà studiato meglio la storia, visto più cose, meditato più a fondo, quando Dio stesso gliene avrà dato grazia di stato. Oppure non ne parli mai. Non è da lui che vogliamo sapere quale sia il tenore di vita degli operai spagnoli. Sono notizie che chiederemo ai tecnici. DI lui in questo campo non abbiamo stima. Lo abbiamo anzi sperimentato uomo poco informato e poco serio.
Leggiamo ora un altro episodio. L’ho trovato su una rivista seria, è circostanziato e firmato, non ho dunque motivo di ritenere che sia inventato:
«In uno scopartimento di prima classe del direttissimo Roma-Ancona in partenza da Roma alle 16,37 del 3 ottobre 1958 sedevano un vescovo e due altri religiosi al suo seguito. Il posto accanto al vescovo era occupato da una cartella. Un viaggiatore rimasto in piedi ben per due volte ha chiesto garbatamente se il posto era occupato e i religiosi hanno risposto di sì. Non era vero. Era un’occupazione abusiva fatta col solo scopo di lasciare il vescovo più comodo. Il controllore avrebbe voluto verbalizzare, ma il viaggiatore rimasto in piedi, pro bono pacis, ha pregato di lasciar correre e la cosa è finita così» (“Il Ponte” 1958 pag. 1350).
Ti pare inverosimile? A me no. Siamo di nuovo davanti ad un ragazzo. L’altro pretendeva di insegnare cose che ancora non conosce. Questo ruba 3450 lire e poi rimedia con una bugia e con tutto questo non s’accorge d’aver peccato. Gli pare anzi, con un alone di 50 centesimi di rispettabilità a destra e a manca del suo sedere, d’aver reso omaggio al Carattere Sacro della sua persona. Ha vissuto mezzo secolo di storia ed è già giunto a votare Democrazia Cristiana ma non sa ancora che democrazia è uguaglianza di diritti. È nato cento anni dopo la Rivoluzione Francese e non sì è ancor accorto che quel germe è fiorito, che ha mutato le nostre ex pecorelle, le ha rese non più pecorelle soltanto, ma cittadini: gente che si vuol rendere conto e che vuol essere convinta.
Eppure tutta questa lezione della storia che egli non ha preso è lezione di Dio, perché è Dio che disegna la storia per nostro ravvedimento e affinamento. E l’hanno inteso perfino tanti laici cattolici. Quelli per esempio che sono stati tredici anni al potere in Italia e non si sono sognati di includere nel regolamento ferroviario privilegi per i vescovi. Non l’hanno fatto perché erano oramai abituati a un sentimento più alto e interiore della dignità vescovile. Qualcosa che è tanto più alta quanto più è vicina, tanto più piccina quanto più pretende un piedistallo che la storia ormai le ha negato. E quello di Bologna che mette a lutto per un mese tutte le chiese della diocesi per un fatto come quello di Prato (3)? E quello stesso di Prato che confronta se stesso con i martiri cinesi? Non sono forse tutti uomini che hanno perso il senso delle proporzioni? E a chi mai può succedere questa disgrazia immensa se non a chi non ha più accanto la mamma che sappia, quando è l’ora, dargli uno scapaccione oppure a chi non ha più intorno dei figlioli coraggiosi che sappiano raccontargli in faccia ciò che dice la gente?
Vedi dunque che non e’ sdegno per i vescovi che occorre, ma per noi stessi, figlioli vili e egoisti che abbiamo amato più la nostra pace che il bene del nostro padre e della nostra Chiesa.
Fermiamoci dunque un poco in esame di coscienza. Potevano quegli infelici saper qualcosa sul mondo che li circonda e su se stessi? C’è qualcuno che li corregge? Abbiamo mai provato a parlar loro francamente così come si parlerebbe al nostro figliolo colto in fallo? No, via, bisogna confessarlo, nessuno di noi si è curato di educare il suo vescovo. E se tanti vescovi vengon su come li vediamo, sicuri di sè, saputelli, superbi, ignoranti, enfants gâtés, come potremo volerne male a loro noi che non abbiamo fatto nulla per tendere loro una mano e riportarli al mondo d’oggi e all’umiltà cristiana e alla giusta gerarchia dei valori? E questo lor essere così non è per la Chiesa un male molto più grande di quanto non lo potrà essere quel turbamento che in qualche animo debole potran fare le critiche? È meglio conservare il piedistallo alto nell’illusione di coprire un po’ alla meglio la vuotezza dei vescovi o è meglio buttar giù il piedistallo e ottenere, per mezzo di un po’ di critica, vescovi capaci di non dire sciocchezze e in più splendenti di quell’umiltà che è virtù cristiana e quindi in nessun modo disdicevole in un vescovo?
La vita di un vescovo! Io ne so poco, ma me la posso immaginare perché conosco qualche sacerdote importante e anche qualche grosso militare e qualche grosso primario di ospedale. Parallelo al crescendo di importanza un crescendo di isolamento. In presenza a lui i giudizi andavano diventando ogni giorno più prudenti e più chiusi. Per esempio, chi pensava che il Papa facesse a mezzo con la Confindustria, lo diceva con scherno impertinente al povero seminarista indifeso. Lo diceva in forma già più attenuata e indiretta al giovane cappellano. Lo diceva solo di lontano al parroco di campagna, padre ancora abbordabile, ma già autorevole personaggio. Non lo diceva per nulla a monsignore parroco di città, amico di un mucchio di persone influenti e molto più potente egli stesso che non il collocatore comunale. Non lo dirà mai al suo vescovo che viene in visita una volta ogni cinque anni e che si può vedere solo dopo molta anticamera in una sala imponente, imponente lui stesso per età, per carica, per grazia. E allora, quando quel vescovo passando per le strade vede sui muri scritte irrispettose per il papa (ma le vede?), non ha elementi per giudicare se siano opera di mestatori estranei senza rispondenza nel cuore degli operai o se siano invece intima convinzione di tanti e che ha avuto esca in errori nostri di cui bisogna correggersi.
Il vescovo che organizza una manifestazione mariana con elicotteri, non ha modo di valutare se questa forma di devozione sdegna o commuove.
Va in visita e non incontra che cattolici o comunisti travestiti da cattolici. Gente comunque che non lo critica, che non si permette di insegnargli nulla. Lo dico senza malanimo. Siamo tutti eguali. Anch’io faccio così nove volte su dieci. Non vien voglia di dire al vescovo ciò che si pensa. È più comodo trattarlo coi soliti dorati guanti di menzogna che danno il modo a lui e a noi di vivere senza seccature. Ed egli intanto cresce e matura e invecchia senza crescere né maturare né invecchiare.
Passa per il mondo senza toccarlo. Non abbastanza alto per essere illuminato dal Cielo. Non abbastanza basso per insozzarsi la veste o per imparare qualcosa. Fa errori puerili, s’intende di tutto, giudica la storia, la politica, l’economia, le vertenze sindacali, il popolo con la beata incoscienza di un infante, con l’innocente pretenziosità del generale di armata o del contadino di montagna. È appunto come il generale di armata e come il contadino di montagna un uomo cui nessuno fa scuola. Un infelice. E tanto più è un infelice per il fatto che nel frattempo perfino i laici cattolici hanno aperto un po’ di occhi. Loro che il muro di incenso non proteggeva dai morsi della storia.
E come è tragico e ingiusto che il Pastore sia rimasto indietro alle pecore! E come potremo non reagire a questo fatto assurdo? Il rispetto? Tacere non è rispetto. È dare una spallucciata dopo aver visto degli infelici che non sanno vivere, gente in mare che non sa nuotare. Disinteressarsi del prossimo è egoismo. Disinteressarsi dell’educazione di fratelli che hanno in mano tanta parte della Chiesa è disinteressarsi della Chiesa! Meglio essere irrispettosi che indifferenti davanti a un fatto così serio. Dunque quel viaggiatore ha fatto bene a provocare quell’incidente e a pubblicarlo. Povero untorello che diffonde la peste dell’anticlericalismo, (quando dice il vero) serve più la nostra Chiesa che la sua. E bisognerebbe ringraziarlo o meglio passargli innanzi ed essere capaci noi dell’esame della nostra coscienza più di lui che ce l’esamina malevolmente. E come vorrei saper dare a questo mio articolo un accento così accorato che nessun malintenzionato potesse dire di me che calco le orme dei nemici della Chiesa! E come vorrei far capire che la stessa notiziola identica, scritta con le identiche parole, quand’è sul Ponte è cattiveria distruttrice, quand’è in bocca nostra è amore appassionato per una Chiesa in cui viviamo, da cui non ci siamo mai staccati neppure in prove durissime, una Chiesa che vogliamo migliore e non distrutta. E quale mai interesse se non di paradiso ci può far stare con lei dopo le figure che ci ha fatto fare? E come dunque si può sospettare i nostri atti?
Ma torniamo all’educazione dei vescovi. Dopo la critica la miglior forma di educazione che possiamo dar loro è di informarli. Le informazioni a un vescovo da dove credi che arrivino? Credi che abbia un apposito servizio di telescriventi che lo colleghi col Vaticano e in Vaticano a sua volta col mondo intero? Non l’ha. Oppure credi che abbia un filo di comunicazione diretta con lo Spirito Santo? Non l’ha neanche il Papa. Lo Spirito lo assiste, ma non lo informa. Te lo immagini lo Spirito in concorrenza con l’ANSA?
I fatti dunque di cronaca e di storia il vescovo li sente raccontare, li legge sui giornali, li ascolta alla radio. Creature sono, creature fallibili, spesso creature maliziose quelle che giorno per giorno hanno l’onore di formare il pensiero del vescovo. Che orrore! E noi bisogna star zitti? Perché noi zitti? Son più bellini quegli altri? Per rispetto anche questo? E che rispetto è mai questo di vedere il nostro padre ingannato ogni giorno, menato per il naso dai padroni della stampa e del mondo e star lì in umile silenzio a lasciar fare?
Quando si sente il cardinal Ruffini lodare il regime spagnolo, verrebbe voglia di dirgli che un dittatore sanguinario o un governante incapace fa più male alla Chiesa quando la protegge che quando la combatte. Ma invece non ci deve essere bisogno di dire queste cose al cardinale. I princìpi li sa, il Vangelo lo conosce. Non è di idee giuste che occorre rifornirlo. Le avrebbe inventate da sé senza che nessuno gliele avesse suggerite se solo avesse visto certi fatti. Oppure se li avesse saputi con tanta precisione e insistenza da esser come se li avesse visti. Di fronte al bisogno ogni uomo diventa inventore come Robinson nell’isola. E il bisogno di una soluzione ideologica soddisfacente lo crea il cuore quando ha visto la sofferenza.
Un cardinale (fino a prova contraria) lo presumi in buona fede, onesto, buono e inorridito del sangue. Se la sua mente non cerca quali siano gli errori di fondo del regime spagnolo è segno che i suoi occhi non erano presenti a qualcuno di quei fatti disumani che visti da vicino bastano a schierare un cuore per sempre. Nell’austero silenzio della biblioteca di un convento domenicano dove non entra né pianto di spose né allegria di bambini, si può ben disquisire sulla liceità della pena di morte, sui diritti del principe e sulla preminenza del bene comune. Ma nel cortile di un carcere spagnolo quando il forte il vincitore uccide il debole il vinto, quando solo a guardarla in viso la vittima si rivela non un comune delinquente, ma creatura alta che ha preposto il bene del suo prossimo al proprio tornaconto. Oppure fuori dei cancelli dove l’urlio di madri, spose, figlioli trasforma anche il comune delinquente in figlio, marito, babbo, in qualche cosa cioè che vorremmo far vivere e non morire, allora le conclusioni di biblioteca si vorrebbe tornassero in altro modo, allora si ritorna sui testi con un altro desiderio in cuore e nel giro di un’ora il meccanismo dei sillogismi ha bell’e sfornato la soluzione giusta.
Questo saprebbe fare anzi correrebbe a fare anche il cardinal Ruffini, ne son sicuro. Ma il cardinale, nel cortile del carcere di Barcellona nel giorno del Congresso Eucaristico non c’era. E non c’era neanche l’inviato speciale del muro di carta che lo circonda. L’inviato era pochi passi più in là in quella stessa Barcellona in quello stesso giorno. Era a fotografare il generale Franco genuflesso su un faldistorio di velluto rosso dinanzi a centomila fedeli sudditi, mentre leggeva la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore. Il generale Franco non ha ascoltato neanche il telegramma del Papa per gli undici sindacalisti di Barcellona e li ha uccisi a sfida nel giorno stesso del Congresso.
Sono abbonato al ‘Giornale del Mattino’. Sono abbonato anche a un settimanale cattolico francese. Se non avessi avuto il secondo non mi sarei mai accorto sul primo di quel che fa la polizia francese. Non che la notizia non ci fosse, ma era riportata di rado e non in vista, e in forma dubitativa e senza particolari. Quanto basta per non accorgersene. Oppure accorgersene ma non dargli il suo posto. Accorgersene ma non schierarsi. Sul giornale cattolico francese la stessa notizia è martellata a tutta pagina e spesso si sente anche la testimonianza diretta dei torturati. E non solo le cose dolorose, ma anche quelle volgari: “Enculer il torturato, pisciargli in faccia, fargli assaggiare la merde francaise, passargli l’alta tensione pei coglioni etc” (Temoignage Chretien 26.6.59 pag.3 e pag.5).
Quattro frasi che non leggeremo mai su un giornale cattolico italiano. C’è chi se ne rallegra perché le trova sconce. Io invece sento una gran tristezza nell’appartenere a una Chiesa sui cui giornali le cose non hanno mai un nome.
Il galateo, legge mondana, è stato eletto a legge morale nella Chiesa di Cristo? Chi dice coglioni va all’inferno. Chi invece non lo dice ma ci mette un elettrodo, chi non lo dice ma non persegue i polizziotti che si macchiano di queste atrocità e persegue invece il libro che testimonia queste cose (La Gangrene, Editions de Minuit 1959) viene in visita in Italia e il galateo vuole che lo si accolga con il sorriso. Il presidente Leone ha rimproverato un deputato: “Non mi sembra opportuno dir male di uno Stato proprio quando il suo capo si trova in questa stessa citta’” (seduta del 25.6.59). E a me invece non sembra opportuno stringere la mano a De Gaulle senza avergli detto queste cose in faccia. Avrei paura che il figlio di un torturato vedesse sui giornali la mia fotografia accanto a De Gaulle magari nell’atto di stringergli la mano col sorriso ebete e beato delle fotografie ufficiali. Avrei il terrore che egli si stampasse il mio viso negli occhi per riconoscermi il giorno in cui per caso mi vedesse sul pulpito in una chiesa missionaria d’Africa.
Il galateo dei giornali cattolici italiani in un articolo come questo toglierebbe i nomi di cardinali e vescovi, toglierebbe i dati esatti del treno Roma-Ancona, toglierebbe i particolari sulla tortura parigina, toglierebbe tutto ciò che convince e si imprime. E ci defrauderebbe anche della frase di quel mussulmano torturato: «Avevo sentito dire che quel genere di tortura rende impotenti e il pensiero che avevo gia’ un bambino mi riconfortava».
Che irresistibile moto di solidarietà nasce quando s’è letto queste parole! Che uomo grande è quello! Che grande civiltà e che civiltà spirituale deve avere dietro di sé per poter esprimere questo pensiero durante la tortura invece che i pensieri di odio. E come questa civiltà non avrà diritto a autogovernarsi? E come son piccini quegli altri. Piccoli e volgari oltre che feroci. E che terrore che essi siano non l’eccezione casuale, ma il segno di una società in disfacimento. E come fa paura il pensiero che essi non sono soli dato che il governo “cattolico” si rifiuta di indagare, dato che ha anzi espressamente abolito nella nuova Costituzione il limite di tempo entro il quale la polizia deve consegnare un prigioniero al magistrato. Il cuore si schiera irresistibilmente.
Ecco cosa puo’ fare la stampa con il solo scegliere le cose da raccontare oppure col solo modo di raccontarle. E bada che non si tratta di uno schierarsi sentimentale che debba per forza concretarsi in uno schieramento politico con l’Algeria contro la Francia,.Non e’ trovare subito una soluzione o ignorare alcune ragioni che possono avere anche i francesi in Algeria. È solo un aver presente al cuore la realtà nella sua interezza e concretezza. Questa è l’anticamera necessaria di uno schieramento razionale ed onesto. Ed è questo che i nostri giornali defraudano a noi e al nostro vescovo. E il danno è immenso perché la maggior parte di noi (vescovi compresi) siamo abituati come le donne a ragionare più col cuore che col cervello. E le informazioni vanno sì alla memoria, ma passando per il cuore, e passando lo formano se sono equilibrate, lo deformano se sono unilaterali, in mille modi che la mente non sa più controllare. Passano e ripassano per il canale del cuore del cardinal Ruffini le informazioni sulle torture ungheresi e il cuore batte. Il cuore del cardinale è generoso, batte e si allarga da quella parte. Perfino uno scomunicatissimo capo comunista (Nagy, Beria ecc.) a un teleordine dell’United Press diventa a un tratto acceleratore di battiti di cuore episcopale. E le notizie di Partigi e di Barcellona non passano. Oppure le une passano con particolari che scuotono, le altre passano in volo senza fermarsi.
E se invece di Barcellona e Parigi avessi pescato esempi in campo sindacale italiano, quanto poco mi ci sarebbe voluto a dimostrare che i giornali cattolici ignorano quel mondo e lo relegano nell’ultimo cantuccio o addirittura ne sfalzano maliziosamente i valori? Un volgare matrimonio di principi ha avuto tutta pagina per settimane (e senza critiche), erano le stesse settimane in cui i giornali cattolici ignoravano la gravità delle vertenze che erano accese in quel momento o peggio si univano incoscienti al coro della stampa “indipendente” per mettere in evidenza solo qualche disagio contingente che quegli scioperi provocavano invece di studiarne la sostanza. Sostanza di gran peso se aveva posto in agitazione due milioni di lavoratori italiani apparteneti a tutte le organizzazioni sindacali con la CISL in testa. Il fatto che due milioni di lavoratrori (cattolici compresi e non ultimi) hanno sacrificato generosamente settimane di salari e rischiato e subito rappresaglie per avere esercitato un loro preciso diritto costituzionale non è fatto talmente serio da meritare la prima pagina nel giornale cattolico e quindi nel cuore del vescovo? Ma non l’ha avuta e se il vescovo non va a cercarla apposta relegata nel cantuccio sindacale non trova la documentata risposta di Storti alle banali accuse della grande stampa contro la CISL.
Gli succede quello che è successo a Barcellona e Parigi.
Per le notizie di lontano spesso siamo stati ingannati anche noi come lui. Per le notizie di vicino (per es. queste ultime) spesso, troppo spesso, s’è visto ciò che lui non poteva vedere e siamo stati zitti. E ora è colpa nostra se il cuore del nostro vescovo è guidato coi fili dai giornalisti. Dai giornalisti il cui cuore è guidato a sua volta da chi? Lo sappiamo purtroppo e vien fatto di rabbrividire. È una catena di responsabilita’ “irresponsabili”, che aggroviglia tutto, e disonora in conclusione noi, la nostra gerarchia, la nostra Chiesa. E poi c’è la figura patetica di quell’uomo prigioniero dell’informazione reticente e dell’ossequio vile. E fa pietà non solo per i cristiani e per i lontani che egli ha ingiustamente disorientato, ma anche per lui stesso.
Un prigioniero bisogna aiutarlo e liberarlo, e tanto più quando è prigioniero il nostro padre. Se non gli sbraneremo il muro di carta e non gli dissolveremo il muro di incenso Dio non ne chiederà conto a lui ma a noi. Ci toccherà rispondergli di sequestro di persona. Dopo tutto quel che abbiamo patito in questo mondo ci ritroveremo nell’altro becchi e bastonati.
(Lettera “A Nicola Pistelli direttore di ‘Politica’ – Firenza. Scritta a Barbiana l’8 agosto 1959)
Forse dovremmo, come suggerisce don Milani, prenderci a cuore la figura di qualche vescovo (credo anche di qualche politico o in genere di qualche persona di potere). Dovremmo dargli qualche simbolico scapaccione, di quelli che fanno tornare il senso delle cose, di quelli che restituiscono equilibrio. Dovremmo esser li a ricordar loro quando cagano fuori dal vaso. Invece troppo spesso ci facciamo intimorire dal ruolo, dalle possibili ripercossioni e lasciamo che chi dovrebbe vedere non veda. Fino a che punto allora possiamo indignarci dei nostri vescovi, dei nostri politici, dei nostri “capi”? Fino a che punto possiamo far finta di non c’entrare? Anche questo credo abbia a che fare con l’essere generazionevaselina, con l’omissione, con il tacere. Credo anche che tutto ciò c’entri molto con la nostra personale dignità.
Molti sanno dove lavoro. Spesso al lavoro mi chiedo dove sta la mia dignità!
Per chi volesse farsi una cultura su certe uscite “da bambini” si sfogli questo sito www.pontifex.roma.it.
(1) Dico purtroppo, perché, trovo che si sia troppo indulgenti nei loro confronti. Chi sceglie di farsi prete, monaco, frate, suora, consacrato, certamente si impegna a condurre una vita che si richiama ad ideali ammirevoli, ma il fatto di averla scelta una volta non significa che la si sappia scegliere di nuovo tutti i giorni.
(2) Il riferimento è al regime Franchista della Spagna di quegli anni, e alle lodi che ne cantava il cardinale Ruffini in una intervista rilasciata alla “Stampa” di Torino il 22 maggio 1959. Il cardinale, che era appena rientrato dal Congresso Eucaristico di Barcellona. aveva detto fra l’altro: «Voi giornalisti parlate pochissimo della Spagna, direi che vogliate ignorarla di proposito. Eppure averla amica potrebbe esserci di validissimo aiuto contro il comunismo… Durante il viaggio in Spagna ho chiesto di essere presentato al generale Franco per ringraziarlo di quanto ha fatto…»
(3) Il vescovo di Prato mons. Fiordelli fu condannato dal Tribunale di Firenze a 40000 lire di multa per diffamazione nei confronti di due coniugi pratesi da lui definiti “pubblici concubini” perché si erano sposati con il solo rito civile. Per protesta contro la sentenza l’arcivescovo di Bologna card. Lercaro ordinò un mese di lutto nella sua diocesi.