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Vassalli

1 Marzo 2011 Nessun commento

Vassallo, nella società feudale, era un uomo libero che si rendeva soggetto ad un signore mediante un contratto di vassallaggio tramite il quale l’uomo libero prometteva fedeltà ricevendone in cambio protezione. È il contrario dell’essere sovrani, significa essere al servizio, sudditi, uomini e donne non liberi.

La nostra Costituzione all’Art.1 recita:

«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

La Costituzione stabilisce quindi l’origine della sovranità come qualità appartenente ad ognuno di noi. La sovranità è sinonimo di potere, di dominio, di signoria, di autorità; qualità, queste, che stabiliamo essere in tutti gli appartenenti al popolo, ma che, come specifica la Carta stessa, vanno esercitate secondo limiti e regole. Il verbo ‘esercitare’ indica l’atto di fare esercizio, di tenere in attività, di conservare, di migliorare l’efficienza. Diversamente nella carta costituzionale potrebbe essere scritto: “La sovranità appartiene al popolo, che la concede nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Fosse scritta così, cosa cambierebbe? Sovrano sarebbe il popolo e, con le elezioni, il potere passerebbe a chi le vince, che quindi eserciterebbe la sovranità in nome e per conto del popolo.

Ma per la nostra Costituzione la sovranità non viene ceduta, resta una prerogativa del popolo che ne fa uso, la tiene in esercizio secondo regole stabilite; l’elezione è perciò strumento di amministrazione e non di delega.

Ad un primo sguardo la differenza appare sottile. È invece sostanziale. Sancisce la cesura tra l’essere signori e l’essere vassalli. In un caso – se nella Carta c’è scritto ‘esercitare’ – siamo e rimaniamo sovrani, liberi, signori; nel secondo caso – se nella Carta c’è scritto ‘concedere’ – lo siamo solo in principio.

Come dice infatti la definizione di vassallo, un uomo libero (sovrano) tramite un contratto (le elezioni) si assoggetta ad un signore in cambio della sua protezione. Il vassallaggio è atto si sottomissione passiva, non è imposto con atto autoritario, ma è la scelta di un uomo libero che rinuncia alla propria libertà in cambio di protezione. In questo si differenzia dalla schiavitù, dove invece la sudditanza viene imposta con la forza. Va da sé che lo stato finale è il medesimo. Nel periodo di vassallaggio/schiavitù si deve fedeltà al signore/padrone e se ne riceve in cambio il favore. Il ritorno alla libertà è nel caso dello schiavo, concessa dal padrone, nel caso del vassallo stabilita dal contratto.

Come detto la Costituzione italiana esclude il vassallaggio dal nostro ordinamento giuridico; ciò detto, non abbiamo alcuna garanzia che per questo non esistano forme di vassallaggio. Per capirlo dobbiamo prima interrogarci sul perché un uomo che è libero si debba assoggettare ad un signore, se, quindi, nel nostro Paese ciò possa avvenire e, nel caso, come faccia ad avvenire.

Il perché un uomo libero rinunci alla propria sovranità è oggigiorno percepibile in molteplici contesti. Prendiamo a titolo di esempio il tema del lavoro. Si sentono espressioni quali: “Il lavoro prima di tutto”… “Bisogna garantire il lavoro”… “Abbiamo salvato posti di lavoro”. Espressioni come queste si basano su un ricatto mascherato da diritto. Si parte da un sillogismo: se ognuno di noi ha diritto ai mezzi necessari a sostenere se stesso e la propria famiglia e il lavoro permette di avere tali mezzi, allora lavorare significa sostenere se stessi e la propria famiglia.  La logica sottesa è un sottile ricatto: avere un lavoro è amare se stessi e la propria famiglia. Ovvio quindi che per amore si deve accettare il lavoro, qualunque esso sia e in qualunque forma sia concesso. Parlo di ‘concesso’ perché: se il lavoro mi può essere dato o tolto da qualcuno esso non è più un diritto, ma un arbitrio. Parlo di ‘sillogismo’ perché: non avere un lavoro significa forse non amare se stessi e la propria famiglia?

Il lavoro e la valenza che esso ha nella vita della nostra società è un tema su cui si gioca la sovranità di ognuno di noi. Ma ce ne sono altri: ad esempio la salute, la sicurezza, la casa. Tutti temi che possono e spesso divengono criteri irrinunciabili, quindi vincenti rispetto alla sovranità. Si tratta di cose per le quali è lecito il vassallaggio. Viene prima infatti la salute o la sovranità? La sicurezza o la sovranità? Il lavoro o la sovranità?

Il vassallaggio è un modo di pensare, prima ancora che d’essere. È una forma mentis. Si contrappone al pensiero libero, che ha come fulcro l’idea di diritto, e vi oppone il concetto di favore. Mentre il cittadino si aspetta di ricevere un bene perché gli spetta di diritto, quindi in base ad un criterio di giustizia, il vassallo si aspetta di ricevere quel bene per dono, quindi in base ad un criterio di favore.

Il vassallo è anche portatore di un’idea di società diversa da quella del cittadino: per il vassallo la società è fatta di gerarchie, è quindi verticale, per il cittadino libero la società è fatta di pari ed è quindi orizzontale. Nella società del cittadino la sicurezza – per fare un esempio – discende dal diritto e dalla legge; sono le leggi, la loro neutralità e il loro rispetto a farlo sentire sicuro. Nella società del vassallo la sicurezza è invece determinata dall’ordine gerarchico; è l’essere suddito di un signore a farlo sentire al sicuro. In questo sistema, infatti, più potente è il signore di cui si è sudditi, maggiori garanzie si hanno; nello stato di diritto – un altro nome che assume la società del cittadino – più i cittadini sono eguali davanti alla legge, maggiore è la sicurezza di cui godono. Per il cittadino avere una società migliore significa aumentare il grado di eguaglianza ed equità del sistema; per il vassallo, al contrario, avere una società migliore, significa essere il più possibile vicino alla vetta della struttura. Il vassallo non ha diritti, perché cedendo la sua sovranità vi rinuncia scegliendo la logica della sudditanza; il cittadino, infatti, pretende e confida nel rispetto della legge, il vassallo chiede e confida nella generosità del proprio signore. Nel sistema feudale – un altro nome che assume la società del vassallo – la forza del sistema cresce con l’aumentare dell’arbitrio, al contrario nello stato di diritto la forza del sistema aumenta al crescere della legalità.

È evidente come il sistema clientelare, tanto in voga nelle nostre amministrazioni, sia un buonissimo esempio di vassallaggio, come lo sono il sistema delle visite mediche presso privati, o  il contratto imposto a Mirafiori. Ovviamente un altrettanto buon esempio di pratica di vassallaggio è il sistema mafioso.

Quanto in Italia funzioni l’uno o l’altro sistema non saprei dire. Probabilmente essi convivono.

Piuttosto ci si dovrebbe chiedere quale dei due sia migliore. A molti parrà che lo stato di diritto, se pure preferibile, sia utopistico e che quindi ci si debba rassegnare ad un sistema feudale, ma si sbagliano. Entrambi i sistemi infatti si reggono su regole e quindi entrambi possono essere messi in crisi.

La regola principale del sistema feudale è l’immutabilità delle posizioni sociali., ossia la diversità per diritto di nascita. Per questo nel sistema feudale il potere è ereditario. Quand’è che il sistema viene messo in crisi e salta? Quando un vassallo decide di liberarsi del proprio signore. È il caso della borghesia ottocentesca o del picciotto che decide di fare le scarpe al camorrista.

La regola principale del sistema di diritto è che tutti – Stato compreso – siano tenuti al rispetto delle leggi. Per questo nelle aule dei tribunali italiani sta scritto «La legge è uguale per tutti». Quand’è, in questo caso, che il sistema viene messo in crisi e salta? Quando un cittadino prende a ritenersi diverso dagli altri e quindi non soggetto come tutti alla legge. È il caso di Gaio Giulio Cesare, di Napoleone e di… avete capito.

È interessante notare in conclusione come la regola che regge un sistema coincida con il virus che mette in crisi l’altro. Il sistema feudale cade sotto i colpi del principio di uguaglianza; lo stato di diritto sotto i colpi del vassallaggio.

Nel prossimo post il racconto della salvezza: dal Vangelo secondo Davide.