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The Day After Tomorrow

Di seguito riporto l’editoriale del Corriere della Sera apparso l’11 luglio 2013, il giorno dopo la richiesta di sospensione dei lavori del parlamento da parte del Pdl. La richiesta di sospensione, concessa da Partito Democratico, è l’atto di protesta del Partito di Belusconi in risposta al fatto che la cassazione ha fissato la data della sentenza sul processo Mediaset.

Il giorno nero della RepubblicaAntonio Polito, Corriere della sera

Se la fissazione della data del processo a Silvio Berlusconi ha prodotto un giorno di stop dei lavori parlamentari, che accadrà il giorno della sentenza? Nonostante alla fine abbiano prevalso quelli con la testa sulle spalle, e l’Aventino minacciato da una parte del Pdl sia stato derubricato a semplice pausa di poche ore, ieri abbiamo assistito alla prova generale di ciò che può accadere al nostro Parlamento nelle prossime settimane. Ostaggio di vicende extraparlamentari, sulle quali né le Camere, né il governo e nemmeno il capo dello Stato possono alcunché. Eppure immediatamente investito, e potenzialmente dissolto, dallo tsunami politico che quelle vicende giudiziarie sono in grado di provocare. Gli attori visti ieri in scena non rassicurano sull’esito. In troppi puntano a trarre un vantaggio di parte dalla rovina comune. Quelli che nel partito di Berlusconi sfruttano la drammaticità della sua ora per acquisire benemerenze e colpire l’ala governativa. Quelli che nel Pd, per lo piu renziani, non vedono l’ora di affondare Letta magari in nome di una riscoperta purezza antiberlusconiana. E quelli che, stando all’opposizione, pensano che il loro compito sia fomentare il tanto peggio tanto meglio. Non si spiegano altrimenti la teatralità e al contempo l’incongruenza delle parole e dei gesti cui abbiamo assistito. Beppe Grillo, mentre urla che «l’Italia è un Paese in macerie» e che «non c’è più tempo», chiede come rimedio lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, perché per un’altra rissa elettorale c’è sempre tempo. I suoi senatori, in un gesto forse inconsapevolmente peronista, si trasformano in descamisados togliendosi in aula la giacca e la cravatta e fischiando come allo stadio la squadra avversaria. I cosiddetti falchi del Pdl, nelle cui mani è rimasto il partito dopo che la sua parte migliore è emigrata al governo, confondono la Cassazione con un Tribunale speciale e invocano il ritorno alle urne come una nuova Resistenza. Certo, la decisione presa ieri in Parlamento di sospendere i lavori per un giorno, piccolo surrogato concesso al Pdl in rivolta per l’imminenza della sentenza Berlusconi, è fuori dal comune (anche se è prassi per i congressi di partito). Ma purtroppo è l’intera situazione in cui ci troviamo ad essere fuori dal comune, come testimonia la visita serale di Enrico Letta al Quirinale. Comunque la si veda, se ne dia la responsabilità all’imputato Berlusconi che se l’è cercata o ai magistrati che lo perseguitano, la vita e l’operatività del Parlamento e del governo sono infatti costantemente in pericolo. E questo proprio mentre l’Italia arranca, è come schiacciata dal macigno della crisi, tenta disperatamente di rialzarsi, viene di nuovo declassata. Il resto del mondo ci guarda attonito, attendendo di capire se questo grande Paese ha deciso di suicidarsi. Dal pasticcio in cui si è cacciata la politica c’è una sola via di uscita: assumersi ciascuno una responsabilità collettiva. E c’è solo una bussola: attenersi scrupolosamente alle regole dello Stato di diritto, inventate proprio per tenere separati i poteri. Stiamo camminando sul ciglio del burrone. Per favore, smettetela di spingere.] Se la fissazione della data del processo a Silvio Berlusconi ha prodotto un giorno di stop dei lavori parlamentari, che accadrà il giorno della sentenza? Nonostante alla fine abbiano prevalso quelli con la testa sulle spalle, e l’Aventino minacciato da una parte del Pdl sia stato derubricato a semplice pausa di poche ore, ieri abbiamo assistito alla prova generale di ciò che può accadere al nostro Parlamento nelle prossime settimane. Ostaggio di vicende extraparlamentari, sulle quali né le Camere, né il governo e nemmeno il capo dello Stato possono alcunché. Eppure immediatamente investito, e potenzialmente dissolto, dallo tsunami politico che quelle vicende giudiziarie sono in grado di provocare.

Gli attori visti ieri in scena non rassicurano sull’esito. In troppi puntano a trarre un vantaggio di parte dalla rovina comune. Quelli che nel partito di Berlusconi sfruttano la drammaticità della sua ora per acquisire benemerenze e colpire l’ala governativa. Quelli che nel Pd, per lo piu renziani, non vedono l’ora di affondare Letta magari in nome di una riscoperta purezza antiberlusconiana. E quelli che, stando all’opposizione, pensano che il loro compito sia fomentare il tanto peggio tanto meglio.

Non si spiegano altrimenti la teatralità e al contempo l’incongruenza delle parole e dei gesti cui abbiamo assistito. Beppe Grillo, mentre urla che «l’Italia è un Paese in macerie» e che «non c’è più tempo», chiede come rimedio lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, perché per un’altra rissa elettorale c’è sempre tempo. I suoi senatori, in un gesto forse inconsapevolmente peronista, si trasformano in descamisados togliendosi in aula la giacca e la cravatta e fischiando come allo stadio la squadra avversaria. I cosiddetti falchi del Pdl, nelle cui mani è rimasto il partito dopo che la sua parte migliore è emigrata al governo, confondono la Cassazione con un Tribunale speciale e invocano il ritorno alle urne come una nuova Resistenza.

Certo, la decisione presa ieri in Parlamento di sospendere i lavori per un giorno, piccolo surrogato concesso al Pdl in rivolta per l’imminenza della sentenza Berlusconi, è fuori dal comune (anche se è prassi per i congressi di partito). Ma purtroppo è l’intera situazione in cui ci troviamo ad essere fuori dal comune, come testimonia la visita serale di Enrico Letta al Quirinale. Comunque la si veda, se ne dia la responsabilità all’imputato Berlusconi che se l’è cercata o ai magistrati che lo perseguitano, la vita e l’operatività del Parlamento e del governo sono infatti costantemente in pericolo. E questo proprio mentre l’Italia arranca, è come schiacciata dal macigno della crisi, tenta disperatamente di rialzarsi, viene di nuovo declassata. Il resto del mondo ci guarda attonito, attendendo di capire se questo grande Paese ha deciso di suicidarsi.doc0935

Dal pasticcio in cui si è cacciata la politica c’è una sola via di uscita: assumersi ciascuno una responsabilità collettiva. E c’è solo una bussola: attenersi scrupolosamente alle regole dello Stato di diritto, inventate proprio per tenere separati i poteri. Stiamo camminando sul ciglio del burrone. Per favore, smettetela di spingere.

Per cosa protesta il Pdl? Il motivo della protesta è che la cassazione ha fissato la data del processo in tempi brevi. È ovvio, che le ragioni che spingono il partito di Berlusconi alla rivolta non sono né giudiziarie (la stessa difesa di Berlusconi non contesta l’enorme evasione fiscale portata avanti dal gruppo Mediaset, ma il fatto che Berlusconi, dopo la discesa in campo, non abbia più avuto alcun ruolo nel gruppo), né tanto meno di accanimento nei confronti dell’imputato, come racconta il seguente articolo:

Processo Berlusconi-Mediaset: la Cassazione, la legge e la prassiDaniela Stasio su Il sole 24 ore

La legge è uguale per tutti, e lo è anche la prassi seguita dalla Cassazione per i processi prossimi alla prescrizione. Non poteva fare eccezione, quindi, il processo Mediaset a Silvio Berlusconi (condannato per frode fiscale a 4 anni di carcere e a 5 di interdizione dai pubblici uffici), visto che il 1° agosto scatterà la prescrizione di una delle due frodi consumate dall’ex premier.

Legge e prassi prevedono che, in questi casi di «urgenza», i termini per fissare l’udienza possano essere ridotti fino a un terzo (20 giorni invece di 30) e che, se si è a ridosso della sospensione estiva, il processo venga trattato ugualmente. Pertanto, in base a una legge del ’69 e all’articolo 169 del Codice di procedura penale nonché alle direttive annualmente impartite dal primo presidente della Cassazione, il processo Mediaset è stato fissato il 30 luglio davanti alla Sezione feriale (presidente Antonio Esposito, giudice relatore Amedeo Franco) e la difesa è stata avvisata della riduzione dei termini. Così si arriverà al verdetto prima che scatti la prescrizione, sia pure solo per una delle due frodi. Fermo restando che se la Cassazione dovesse annullare la condanna con rinvio alla Corte d’appello, sarà quest’ultima a verificare anche l’eventuale avvenuta prescrizione (sia pure parziale).

Tutto nella norma, insomma, sebbene il Pdl gridi alla «cospirazione» e all’«aberrazione». L’avvocato Franco Coppi, che affianca Niccolò Ghedini, ammette che la decisione della Corte è «formalmente corretta» ma si dice «esterrefatto» perché «non c’era ragione di fissare termini così brevi» che «incideranno sulla possibilità di difesa», costringendo gli avvocati a «una preparazione affannosa». Ghedini parla di «tempo eccezionalmente breve» e contesta il calcolo fatto dai supremi giudici perché «il primo dei due reati si prescriverebbe, valutate le sospensioni, parecchi giorni dopo la fine dei termini feriali del 15 settembre 2013, mentre l’ultima contestazione si prescriverebbe addirittura a fine settembre 2014».

Ma la ragione dell’accelerazione è solo l’imminente prescrizione. Per questa stessa ragione centinaia di processi vengono trattati dalla Cassazione con maggiore celerità. Basti solo pensare a quelli per concussione: dopo la legge Severino sull’anticorruzione (190/2012), la Corte è stata costretta addirittura a modificare la propria agenda per accorparli e anticiparli perché molti di quei processi, altrimenti, sarebbero arrivati in udienza già prescritti visto che la legge 190 ha ridotto da 15 a 10 anni la prescrizione della vecchia «concussione per induzione» diventata «induzione indebita» (nonostante questo sforzo, per alcuni non c’è stato nulla da fare). E del resto, sono centinaia i «169» – come si chiamano in gergo i casi «urgenti» – che la Cassazione manda in Procura generale con la segnalazione di «prescrizione imminente» e su cui il Pg chieda la riduzione dei termini per il giudizio.

A motivare tanta ostilità nei confronti dei giudici è una sola cosa: la paura che tutto finisca.

Per i parlamentari (Pdl e PD) la paura che cada il governo, si torni al voto e… nel Pdl, se non c’è più Berlusconi, sia finito anche il partito… nel PD, con Renzi già pronto a scattare, si rischi il repulisti e la fine politica per una generazione intera di parlamentari.

Per il Presidente Enrico Letta la paura è nel tempo: più dura il suo governo, più possibilità ha di consolidarsi e diventare “realtà” un modello di PD che ricicla per l’ennesima volta il vecchio establishment (PC, PDS, DS, cioè Dalema & Co.); Letta, di tale riesumazione, diverrebbe di conseguenza il punto focale.

Per Berlusconi… non serve spiegarlo; il suo “non intendo fare la fine di Craxi” è quantomai eloquente.

Per noi l’imminente scomparsa di Berlusconi dalla vita plitica del Paese rappresenta un’altra paura ancora. Chi voteremo? A chi affideremo le nostre speranze? Dopo vent’anni di politica incentrata attorno a lui, da destra, com’era ovvio, ma anche da sinistra, ognuno di noi si trova a vivere l’inquietudine del dopo. E dopo che Berlusconi se ne sarà andato? Per chi si sente di centrodestra finisce un sogno. E come accade sempre dopo i sogni, ci si deve svegliare e fare i conti con la realtà, che dopo un sogno di 20 anni, è molto cambiata rispetto a come la si è lasciata prima di addormentarsi. Per chi si sente di centrosinistra potrebbe sembrare una liberazione, ma in realtà, dopo vent’anni di partiti di centrosionistra che hanno posto il loro fondamento non sulle istanze della parte più debole della società, ma sulla contrapposizione a Berlusconi, la sua caduta rappresenta anche da questa parte un salto nell’ignoto. E dopo Berlusconi cosa ne sarà del PD? O per restare nella metafora del sogno: gli elettori di centrosinistra, visto che la moglie accanto a loro dormiva, hanno pensato di aprofittarne…e farsi un sonnellino pure loro. La moglie per lo meno ha sognato (un miliaridario furbetto che la corteggiava), il marito si sveglierà convinto di aver solo chiuso gli occhi…ma anche per lui 20 anni sono trascorsi.

E poi ci sarebbe la Repubblica. Ecco lei è forse l’unica a dover sperare che Berlusconi scompaia. Ma dato che è l’unica a volerlo, è probabile che alla fine debba arrendersi e a finire sia proprio lei.

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